mercoledì 8 agosto 2012

Appennino di Parma #1

Ecco un piccolo racconto delle vicende salienti (e non) di questa vacanzina.

 * Giorno n.1 *

[h5.47] Sono in strada, diretto verso la stazione di Milano Centrale, ho un po' di fretta e in uno scatto di potenza sulle punte succede qualcosa. Proferisco un "mapperchécos'cazz!?" mentre mi ribalto prima sulla bici poi sotto: pare che in qualche modo sia riuscito a rompere la catena di trasmissione, cosa non buona. Sotto lo scalda-gambe trovo un pezzo di gamba fuori posto e sangue un po' ovunque: il ciclomeccanico che è in me dà la precedenza all'infermiere che si occupa di tamponare la ferita e le escoriazioni, si ricompone e in 3 minuti netti rimette in ordine la bici.

Ok, dai, ce la posso ancora fare! Pedalo-pedalo-pedalo.

[h6.00] Arrivo in Centrale e dopo vari tentativi riesco a far mangiare la mia banconota sudata dalla macchinetta automatica che mi rivela un nuovo orario per il treno: non più le 6.15 ma le 6.45, il che mi dà non solo 15 minuti di tempo ma ben mezzora di libertà.
Non resto a braccia conserte: vengo assillato dal popolo della notte che a volte chiede a volte pretende supporto per i biglietti automatici un po' in tutte le lingue.. controllo l'orologio e mi avvio spedito al binario, sperando che il karma decida di equilibrare un po' di cose. Individuo la carrozza giusta e la scalo: posto d'onore per me e per la biga.
[h6.45] All'ultimo secondo arriva una raffica di bici assortite che vanno a riempire completamente la carrozza dedicata. [h7.10] Parte un discorsetto interessante con il proprietario riguardo il suo tre-ruote reclinato smontabile e ripiegabile che fa mostra di se. Si potrà auto-cotruire? Ottengo qualche consiglio ed un forum da spolpare :) Seguono un po' di fermate. Provo a riposarmi, da seduto la gamba fa un po' male: ricontrollo e riattacco bene il cerotto costrittivo di emergenza che per fortuna avevo con me: c'è tanto sangue ma sembra lì fermo, tanto meglio. Mi rilasso e aspetto la mia fermata.

[h9.30] Con un paio di minuti di anticipo arrivo a Borgo Val di Taro.
Mi preparo, controllo che tutto sia ben saldo, che la bici funzioni e mi avvio. Passo il ponte sul fiume Taro e proseguo sul percorso studiato per raggiungere Bedonia.
Raggiunta la meta intermedia, concentrato nel mantener la cadenza forse non bado a qualche cartello e supero Bedonia. Decido che è ora di fare pausa e dopo il rifornimento di dolcetto ed acqua mi rifaccio quella che poco prima era stata una piacevole discesa. :/ 
Proseguo fino a ritrovare il cartello perduto, svolto e incomincia la vera salita. Si susseguono una infinità di strappi: non riesco a capire come dopo ogni tornante la pendenza possa continuare ad aumentare, sempre. Meglio non stra-fare: piccola pausa di tanto in tanto, acqua, respiro e poi in sella. Ci sono un sacco di moto di grossa cilindrata che giocano arrampicandosi e piegando e il continuo sorpassare e ripassare mi toglie concentrazione oltre che l'ossigeno.
Ad un certo punto, infida come una vipera, appostata dietro una curva, c'è una salita cattiva-dentro: gli attori della toponomastica non hanno dovuto impegnarsi molto, come me del resto, per scegliere il nome più appropriato di Salita Del Cristo. Per un istante vorrei fare una foto al cartello e relativa salita per poter affermare oltre ogni dubbio "io c'ero" ma l'ídea di dover ripartire con quella pendenza mi fa desistere.

Proseguo, con i miei ritmi, e finalmente raggiungo il primo passo: Passo del Vaccá. I gregari della salita mi dicono che tutto sarà più semplice ora. Sarà ma le indicazioni che mi danno mi portano completamente fuori strada. Arrivo ad Anzola, ma no, non può essere la strada giusta. Torno indietro verso Bedonia e mi fermo in un piazzale a riprendermi e a tentare di ottenere info telefoniche dal Cuoco che è nel rifugio, destinazione della prima tappa. Nessuna risposta, telefono non raggiungibile: imparerò a mie spese che le comunicazioni telefoniche in montagna sono problematiche. Decido di riavviarmi, 'ché a restar fermi non si combina nulla. La strada oltre Anzola ricomincia a salire e tanto. Sempre più solitudine, silenzio e caldo. Soprattutto quando l'acqua finisce e le gambe ne pretendono. Continuo di buona lena cercando di non perdermi d'animo, a volte spingo a volte pedalo.
Dopo chilometri e chilometri mi sorge il dubbio che qualcosa non combaci con la descrizione del percorso avuta qualche giorno prima: tornante dopo tornante la quota aumenta, la gente no, nessun segno di acqua e ormai niente ombra. mi camuffo da Lorentz D'Arabia e comincio a provare un po' di sollievo, ma la stanchezza c'è. Do priorità a recuperare acqua: c'era una fontana nella città di Anzola. Un po' per fretta, un po' per scelleratezza e un po' per la disidratazione in automatico giro la biga e lascio che la forza di gravità faccia il resto. L'aria sempre più veloce a un certo punto mi rinfresca tanto da farmi rinsavire: riprendo il controllo di me stesso e riduco la velocità. Scoprirò di aver raggiunto e superato i 50km/h: dopotutto partivo da una quota superiore ai 1100mt SLM. Finalmente la fontana. Appoggio la bici e bagno mani, polsi, poi faccia e testa, quasi senza togliere il caschetto e i guantini. Riempio bottiglie e sacca e mi trattengo dal bere, aspetto che il prezioso liquido torni a fluire nell'organismo provato prima di decidere se concedermi altra acqua. Rinsavito e rinfrancato torno a seguir la discesa fino allo spiazzo dove ho deciso di riposare e di riprovare a telefonare.
Prove, riprove, tentativi, piccoli spostamenti e alla fine scambio un paio di parole con il Cuoco. Pare che io sia fuori strada da Bedonia: ho seguito i consigli di quel pedalatore, ma portavano su un percorso differente. Mi concedono il recupero in macchina: devo raggiungere nuovamente la fontana di Anzola. Ancora in salita. In sella e pedalo. Ma mi son riposato è non ho grossi problemi. [h16.30] Raggiunta, mi rilasso e scrivo due righe, controllo la bici, rifletto anche sul percorso e stabilisco che in effetti dal Passo Vaccá non c'era possibilità di sbagliare: il problema deve esser stato altrove. La ferita non sanguina più: forse il sangue era diventato troppo denso a causa della mia sete per continuare a fluire.
[h16.30] Mi raggiungono in macchina Cuoco e, sorpresa, Matteo! Carichiamo bici e zaino e partiamo. Con mia sorpresa ripercorriamo la salita infinita percorsa in mattinata. Scopro che quando ho deciso di tornare verso la città ero a un tornante di distanza dal Passo Tomarlo: stavo per completare una delle salite più lunghe della zona. Segue il percorso fatto in macchina e prontamente registrato con il GPS per benefici futuri. Comincia la Foresta del Monte Penna e si alternano discesine e salitine tutte condite da tornanti ma all'ombra della boscaglia: un idillio in confronto al desolante asfalto rovente. Segue il Passo del Chiodo e in una traversa sulla destra l'accesso alla strada in terra battuta per il Rifugio Faggio dei Tre Comuni.
Qui trovo amici che mi aspettavano per pranzo e con i quali posso gradire la spaghettata preparata dal Cuoco Adriano e preceduta da tartine, frutta e un cocktail tutto speciale per il sottoscritto.

In rifugio e fra gli amici il tempo scorre rapido, conosco un po' di gente e quando i milanesi decidono di tornare a casa li saluto con rammarico ma non resto solo. Festeggiamo il 42esimo compleanno di un ospite del rifugio e brindiamo. Mi faccio consigliare riguardo percorsi possibili per il giorno seguente e ne prendo nota. Poi la stanchezza di fa sentire e vado a fare la nanna, senza sveglia: oggi di km pesanti ne ho fatti abbastanza.


* Presto il link per il giorno n.2 *